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FOLCLORE LIUCANO
Il folclore lucano è un evento popolare che si svolgeva per le strade della città con musica e balli di quell'epoca e tramandata nel tempo...una tradizione che si svolge tra banchetti di piatti tipici.

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Folclore: lucano folcloristico.
Si può anche chiamare folklore che viene dall'inglese!!!
FOLCLORE LIUCANO
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Il folclore lucano
Unione Nazionale Pro Loco d'Italia
Tel-Fax: 06.9913049

Introduzione

Come nei dialetti, anche nelle tradizioni lucane si riconoscono ancora oggi elementi arcaici, dall’usanza di fare un regalo alla moglie dopo la prima notte di nozze, retaggio della dominazione longobarda, ai numerosi e suggestivi riti che accompagnano lo svolgersi della Settimana Santa, alle credenze relative alla notte di Ognissanti o al Natale. Le tradizioni più curiose sono descritte nel seguente brano tratto dalla Guida Rossa Basilicata e Calabria del Touring Club Italiano.

"La Basilicata, al pari della Calabria, (com'è stato acutamente osservato dal Bronzini, cui si deve un'opera fondamentale sul ciclo della vita umana nel folclore lucano), per la sua posizione geografica e per la sovrapposizione di diverse correnti culturali, si presenta rispetto alla tradizione popolare come area prevalentemente conservativa".
Questo carattere è stato già rilevato e documentato riguardo al dialetto dal Lausberg, il quale, per esempio, ha scoperto che nella zona di Trécchina (Potenza) si è mantenuta, come in certe località della Sardegna, la distinzione tra la o lunga e la u breve, e persino tra e lunga e la i breve del latino: esempio: soli (sol) e cruci (crux); stedda (stella) e nivi (nivis).
Elementi arcaici si possono analogamente riconoscere nel folclore. A Oppido Lucano mettono ai bambini, come secondo nome, Lupo; l'uso è forse in rapporto con lo stesso nome della regione: perché Lucania può ben derivare dal greco lúkos (lupo; come Irpinia viene da Hirpus, che ha lo stesso significato) non solo e non tanto perché terra popolata da lupi (e immaginiamoci quanto più lo doveva essere nell'antichità prima degli implacabili disboscamenti), ma perché il lupo poteva essere l'animale totemico di queste popolazioni. Per passare a una fase più vicina e più agevolmente databile, è interessante trovare in Basilicata sicure sopravvivenze del Morgengab, o dono del mattino, che consisteva, com'è noto, in una donazione che il marito faceva, dopo la prima notte, di una parte dei propri beni alla moglie, come segno del suo gradimento per le nozze consumate: in antico il Morgengab consisteva in armi, cavalli e bovini, poi in abbigliamenti muliebri, oggetti di valore e, talora, anche in beni immobili. Quest'uso germanico fu introdotto a Matera dai Longobardi, in quanto Matera fece parte del Ducato beneventano: il valore e il significato di questo particolare donativo nuziale sono scomparsi, è ben vero, dalla coscienza popolare, ma dell'uso qualche traccia rimane.
E giacché stiamo parlando di usi nuziali, ci piace sottolineare il continuarsi di una formula certamente antica, ma che si conserva anche in carte dotali abbastanza recenti. Alla fine di un minuzioso elenco di oggetti di vestiario, mobili, utensili domestici, ecc. è detto: "20°: sedici libbre di rame e una camastra (catena del focolare) e la sposa conte si trova" . Questa formula la si può leggere anche in alcune carte dotali abruzzesi del Sei e del Settecento, come ad esempio, "detta Saveria Zita calzata e vestita come si trova". È questo il significato originario e assai chiaro della formula: voleva dire che, oltre ai vestiti elencati nella carta dotale, la sposa portava in dote anche l'abito e le scarpe che indossava il giorno delle nozze.
Si possono trovare in Basilicata anche tracce e frammenti del matrimonio con gli alberi. Il lontano, originario motivo ispiratore di questa forma nuziale è senza dubbio da vedersi nella credenza che, per virtù magica, i poteri fecondativi delle piante si possano trasmettere agli uomini. Ma, in clima storico, questo tipo di rito nuziale si aveva quando una coppia di fidanzati voleva fare a meno del parroco, del sindaco e del notaio, e allora la cerimonia si svolgeva compiendo tre giri di danza intorno a un albero, mentre il giovane diceva: "Albere senza foglie – quest'è la mia moglie", e, a sua volta la ragazza: "Albere mie fiurite – quest'è lu mie marite".
Echi e riflessi di questa credenza sul potere propiziatorio generativo delle piante si possono riconoscere in altri usi tuttora vivi in Basilicata, sempre collegati coi riti nuziali. A Tricárico, per esempio, la tradizione vuole che gli sposi, al ritorno dalla chiesa, passino sotto un antico albero di gelso che si erge maestoso nei pressi dell'abitato.
Maggiore diffusione ha l'usanza del ceppo nuziale, che l'innamorato pone, la sera, come richiesta di fidanzamento, davanti all'uscio di casa dell'amata, e la ragazza, se accetta, introduce il ceppo in casa, se no, lo fa ruzzolare in mezzo alla strada. Succede qualche volta che rimanga incertezza su chi sia stato a posare il ceppo davanti alla porta della giovane, e allora il babbo di lei va girando il paese col ceppo sulle spalle ripetendo il grido: "Chi ha inceppunato la figlia mia?" . L'uso si riscontra anche in regioni contermini.
Come altrove, si desidera che dalle nozze nascano molti figli e si traggono pronostici sul sesso del nascituro dalla configurazione del ventre. In Basilicata troviamo un interessante caso di ambivalenza. A Matera e a Palazzo San Gervasio, se il ventre è a forma quasi appuntita, nascerà un maschio, se invece si presenta arrotondato, nascerà una femmina. Però a Venosa, e a Migliónico si crede il contrario, come risulta dal detto "Ventra pizzuta vol' lu fusu, e ventra chiatta vol' la zappa".
Quanto alla culla, il tipo di culla sospesa comune alla Sicilia e a una parte dell'Italia meridionale arriva fino in Basilicata: il suo nome naca viene dal greco náke = vello di montone, in quanto originariamente la culla era fatta con la pelle di un animale ovino appesa alle travi del soffitto, sistema che permette alla madre di cullare il bambino tirando una fettuccia mentre attende alle faccende domestiche. Orbene, a Matera, nelle abitazioni cavernose dei sassi si trovava invece la culla di legno con appoggio a terra: ma veniva chiamata naca: la forma è cambiata, ma il vecchio nome è rimasto.
Una sicura impronta di arcaicità serbano ancora alcuni usi e credenze funebri. Quando l'agonia è lenta e prolungata si crede che il moribondo in vita sua abbia bruciato un giogo o rubato un aratro, e allora si fabbrica subito di nascosto un modellino di giogo in cera o un aratro in miniatura e glielo si mette sotto il cuscino: è questa una delle molte tracce che si possono rilevare in Basilicata di una primitiva religione agraria.
Un'altra tradizione antichissima, tuttora conservata in vari paesi, è quella del pianto funebre eseguito, presente il cadavere, da prefiche o da donne della famiglia. Il canto si inquadra in tutto un preciso rituale, che nel Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi vien descritto così: "...Non aveva ancor finito di morire che già le donne gli abbassavano le palpebre sugli occhi sbarrati e cominciavano il lamento... Si strapparono i veli e i nastri, si scomposero le vesti, si graffiarono a sangue il viso con le unghie, e cominciarono a danzare a gran passi per la stanza battendo il capo nei muri e cantando, su una sola nota altissima, il racconto della morte". Da inchieste compiute in questi ultimi anni è risultato che il pianto funebre sopravvive ancora con forme più o meno conservate in molti paesi, come a San Mauro Torte, a Stigliano, a Pietragalla, a San Giorgio Lucano, a Colobraro, a Senise, a Pisticci, dove "fa parte di tutto un certo regime di esistenza, nel quale entra il modo di vita reale, la forma della società e dei suoi rapporti, con tutta la rete delle condizioni storiche relative" (L. De Martino).
Per quarto riguarda le principali feste e ricorrenze svolgentesi lungo il ciclo dell'anno, è nota la interregionalità di molte tradizioni. Ci limitiamo a indicarne alcune, avvertendo che è proprio la loro connessione con i fattori naturali e le strutture socio-economiche ciò che distingue la cultura popolare lucana da quella di altre aree del mondo contadino. E aggiungiamo che gli elementi della civiltà contadina sono tuttora emarginati in molte forme culturali, anche se le condizioni di vita della società lucana si sono alquanto mutate in questo secondo dopoguerra. Ci soffermeremo pertanto su alcune di quelle tradizioni che, adattandosi al particolare ambiente, hanno assunto aspetti tipici e un colore locale che ne accentua l'interesse.
Per l'Epifania una festosa processione attraversa le vie del paese, con in testa il Bambin Gesù seguito da fanciulli vestiti da pastori e da massaie, recanti doni. Si crede ad Avigliano che la tregua delle pene delle anime del purgatorio incominciata il 2 novembre cessi per l'Epifania e perciò si esclama: vadano e vengano pure tutte le feste, ma non venga l'Epifania! Il significato di questa credenza è da vedersi nel fatto che la data dell'1-2 novembre segnava nell'antico calendario celtico l'inizio dell'anno, come il Natale, S. Silvestro e l'Epifania: la quale però... "tutte le feste si porta via", e chiude quindi il periodo di tregua.
S. Antonio abate (17 gennaio) segna, come altrove, l'inizio del Carnevale: da quel giorno fino alle Ceneri gira per le vie del paese, sulla groppa di un somaro, "Tataranna", simboleggiante lo stesso personaggio di Carnevale. Tra le maschere sicuramente antiche, perché di significato diabolico, sono, i "tintilli", dal volto tinto di nero, che a Picerno e in altri paesi girano per le case a chiedere vino e salsicce.
A Matera, due pupazzi fatti con cenci riempiti di paglia e rappresentanti il Carnevale e sua moglie la Quaresima, vengono posti a distanza sui tetti delle case e l'uno sparirà la mattina delle Ceneri, l'altro, la mattina di Pasqua. A Irsina si appendono al balcone o alle finestre sette pupe vestite di nero, sette sorelle orfane che si chiamano: Anna, Susanna, Ribecca, Ribanna, Cecilia, Cecilianna e Pasqua granna; ogni domenica ne sparisce una fino alla Resurrezione.
Ma sono i riti della settimana Santa che presentano in Basilicata alcune delle tradizioni più suggestive, che possono attirare l'interesse di qualsiasi categoria di turisti; ci limitiamo a indicare la processione dei Misteri a Barile nel Vultúre (Potenza). Essa parte dalla chiesa della Madonna delle Grazie nel primo pomeriggio del Venerdì Santo e si snoda lungo un percorso di ben 5 chilometri; il corteo è aperto da tre centurioni a cavallo che annunciano il passaggio della processione con squilli di tromba; seguono tre bambine vestite di bianco che reggono tre croci bianche: rappresentano le tre Marie; una ragazza vestita di nero regge uno stendardo che mostra gli strumenti della passione e la seguono 33 bambine in vesti nere, che simboleggiano i 33 anni della vita di Cristo. E così si succedono in un'interminabile sequenza tutti gli altri personaggi della Via Crucis, della passione e morte del Redentore. Il Cristo è interpretato da un artigiano che ha sostenuto spontaneamente un digiuno di parecchi giorni per essere in stato di grazia. Assai curioso è anche il personaggio della zingara, dalla veste multicolore, tutta inanellata e con una ricca pettorina letteralmente carica d'oro: a tale scopo tutto il paese le presta i propri gioielli, e perciò due carabinieri la scortano per vigilare il "tesoro comune". La rappresentazione dei principali episodi è integrata con alcuni canti sacri, tra i quali una «Passione» il cui testo ha riscontri sicuri con laude dei primi secoli della nostra letteratura. Un'analoga reliquia vivente del dramma sacro si conserva a Ferrandina: e sempre a Ferrandina, come a Melfi, era molto in voga per la festa di S. Antonio di Padova (13 giugno) lo "scaricavascio" o "pizzic'Antò". Era una specie di girotondo eseguito da dieci robusti popolani che si tenevano fortemente stretti con le braccia; sulle loro spalle montavano altrettanti compagni e su questi talvolta ancora altri. Quelli di sotto, girando a tondo per le vie del paese, cantavano allegre strofette con allusioni satiriche, come questa: "Vuie ca state da sopra – stateve attente ancora cadite – Lu vi' lu vi' scaricavascio, – pizzicandò, pizzicandò". Questo gioco non è che la discesa nel mondo dei giovani di un'antica danza rituale, che troveremo in Calabria col nome di torre vivente dalla disposizione a piramide dei danzatori.
Nei grandi lavori agricoli dell'estate sopravvivono ancora qua e là forme tradizionali. "Il dorso curvo e la falce – scrive in un accurato capitolo Enzo Contillo – rimangono ancora sulle colline e nei fossati, tra le messi, là ove non è giunto il motore a soppiantare la maggiore fatica dell'uomo. Si danza, si canta ancora nei paesi dell'interno, specie quando sono pesanti i lavori ed alte le spighe. La pesatura del grano è fatta con grossa pietra tirata dai muli; sulla pietra è segnata una croce. La festa sull'aia al termine della trebbiatura è consueta. E la sera del Canalone o della Crapula (Matera) tavola piena per tutti, tra i covoni fino a notte alta".
Molte credenze e usanze relative al 1° e al 2 novembre sono simili a quelle di altre regioni: per esempio a Matera affiora ancora dalla memoria dei più vecchi la credenza che i morti scendano in città dalle colline del cimitero, stringendo nella destra un cero acceso, mentre Sant’Eustachio cavalca un focoso destriero a briglia sciolta. Più localmente tipica l'usanza secondo la quale nel pomeriggio del 2 novembre le donne recatesi al cimitero e accovacciate sui tumuli ripetono i motivi del pianto funebre, con lunghe cantilene rievocanti episodi della vita o tratti caratteristici del defunto.
Così molti degli usi natalizi ricordano quelli di altre regioni, ma con qualche variante: a Gorgoglione il ceppo deve esser messo sul focolare da entrambi i coniugi perché se è posto da uno solo di essi, nel Natale successivo l'altro coniuge potrà andare incontro a gravi disgrazie, o alla morte.
Sempre importante è rilevare in qualunque tradizione popolare come essa sia effettivamente vissuta nello spirito e nella prassi della gente di una determinata regione. Si entra così nel campo della psicologia etnica, estremamente difficile a determinarsi anche con i più aggiornati sistemi d'indagine. Tuttavia alcuni caratteri prevalenti possono emergere ed essere assunti come distintivi, anche senza voler attribuire ad essi un valore assoluto. Per la Basilicata, condizioni ambientali, protrattesi per secoli, di povertà, analfabetismo, isolamento, asprezza di clima e di paesaggio, hanno lasciato la loro impronta nel carattere degli abitanti: taciturni, prudenti di fronte alle innovazioni, rassegnati, "uomini che sembrano fermi nel tempo" sono definiti da chi ben li conosce anche perché è uno dei loro. Ma un altro studioso, pure conterraneo, osserva che "sotto la scorza della scontrosità c'è però un tronco d'albero vegeto e rigurgitante di forze, di energia, linfa calda che si estrinseca in una laboriosità ammirevole, in una tenace fierezza e fermezza nei modesti propositi". Questa psicologia si riflette nei proverbi, molti dei quali sono comuni ad altri paesi anche lontanissimi, mentre qualcuno ha un sapore locale, strettamente legato a particolari usanze e credenze. Per esempio: "la femmina c'arriva vint'anni – o spusil'o scannil'" riflesso della opinione comune che la donna si deve maritare molto giovane, ma anche della severità di comportamento che nel regime patriarcale si riscontra verso la donna in genere; come si ricava da questo proverbio: "La cucina fatta – lu marite non ti vatt" ; e anche da quest'altro che traduciamo: "Mia moglie non vuole venire in campagna – botte sera e mattina – e vedrai l'asino come cammina".
È ben comprensibile come in un ambiente sociale e in un clima psicologico quale abbiamo sommariamente indicato abbiano ancora molta vitalità le credenze sulle stregonerie, il malocchio, la fascinazione e sulle svariate forme della medicina popolare, in un misto di paganesimo e di religiosità cristiana accesa e sincera ma non sempre controllata. Il ricorso alle fattucchiere è quindi frequente ed è stato anche, in questi ultimi anni, documentato con fotografie e film. Comunque, la religiosità popolare si estrinseca specialmente nei pellegrinaggi, come quelli al Santuario della Vergine sul monte Pollino (a 1700 metri), di Sant'Egidio abate (Latrónico), ecc.

Il maggio di Accettura
In provincia di matera ad Accettura, ancora oggi, si pratica un antichissimo rito nuziale propiziatorio. Taglialegna e boscaioli vanno alla ricerca dell'albero più alto e dritto di Montepiano nel giorno dell'Ascensione perché diventi l'albero di maggio. Il giorno della Pentecoste, i giovani di Gallipoli scandagliano i boschi alla ricerca della "cima", un agrifoglio spinoso e ramificato, considerato la sposa del maggio. Vengono intonati poetici canti d'amore e di corteggiamento, per accompagnare in questi giorni l'incontro tra i due sposi. Il maggio viene trasportano da alcuni buoi il martedì successivo mentre la cima viene portata a spalla preceduta da una lunga fila di costruzioni votive chiamate le cende. La cima è innestata sul maggio e questo viene eretto nell'imponenza dei suoi 35 metri. La cima fruttifica rapidamente come per incanto e gli abitanti iniziano a sparare sui cartellini che vi hanno appeso, invece, un tempo vi si appendevano animali vivi. L'antica usanza della scalata del maggio, prova di forza e rito di passaggio all'età adulta è andata persa nel tempo, ma la festa mantiene comunque il suggestivo sapore di rituali di fecondazione della natura.

Stracciamento del carro
Il 2 luglio a Matera alla fine della processione in onore di Maria Santissima della Bruna la folla dà l'assalto al carro di cartapesta utilizzato per trasportare la statua. una volta che il carro viene ridotto in tanti pezzi i partecipanti vanno all'assalto per raccoglire un pezzetto considerandolo una preziosa reliquia porta fortuna. Per chi si trova ad osservare questo assalto repentino del magnifico carro, magistralmente adornato, costituisce uno spettacolo suggestivo.

Festa di San Rocco
Tra il 14 ed il 21 agosto Ogni anno si ricorda l'evocazione di San Rocco da parte degli abitanti di Montescaglioso, in provincia di Matera, per allontanare la minaccia di un terremoto avvenuta nel 1857. San rocco, Da quel momento, divenne il patrono del paese ed è oggi ricordato tra sontuosi festeggiamenti. Un'immensa processione capeggiata dalla statua del santo, la mattina del 20 agosto, giorno principale della settimana di festa, parte portata a spalla dai fedeli attraverso tutte le vie del paese. Alla fine della giornata, Costruito in cartapesta e legno circa settant'anni fa dagli abili artigiani locali, parte la sfilata del carro trionfale e condotto da sette meravigliosi cavalli che trasportano il santo. Un mese prima dalla parata viene attribuito il diritto di tirare il carro e va al miglior offerente di un'asta indetta nel paese. Accanto alla cerimonia religiosa, vi sono esibizioni di bande musicali e meravigliosi spettacoli pirotecnici.
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